Abbiamo
lasciato il Trollfjord in un uggioso lungo tramonto rannuvolato e lo ritroviamo splendente nelle luci intense di un pomeriggio senza nuvole.

Lo strettissimo cul de sac marino è percorso in lungo e veloce largo da un gran numero di motoscafi e piccole imbarcazioni di norvegesi in gita che ci sfrecciano a fianco o che evitano le pur piccole onde che produce il nostro postale. “Vi fotografo!” pare dire la mamma con figlioletti e marito sul motoscafo – “Ti frego io – rispondo – colla mia più potente e più bella!”

Il nostro ingresso è trionfale e il capitano un po’ tronfio, fa valere la nostra stazza.

La corona di vette che innalza il rango dell’insenatura estrema cambia ad ogni sguardo il suo mutevolissimo aspetto; il sole sulla roccia umida riflette e scompone se stesso in prismi di luce, i superstiti nevai sparsi giocano coll’ombra imitando i riflessi solari dal profondo dei fossi.

Noi ci interroghiamo, chi scettica chi caparbio, sulla possibilità di scalare quelle pareti a picco che svettano nel punto più stretto: quale via, quali pericoli, quali vicoli ciechi, quali ripensamenti e ritorni sui propri passi occorrerebbero per arrivare in cima. Chissà un giorno…

Qualcuno è così sorpreso da tanta luce da preparare un dolce alla crema con il proprio volto, poi cascate, maniche corte e sorrisi, la prua rivolta verso le Lofoten.

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Impazientemente Svolvær, finalmente e con gioia. Di nuovo al suolo delle isole, ma questa volta senza foto perché avevamo un “accompagnatore”, sul “nostro” -ma sarà vostro!!! parte un moto dentro di me- accompagnatore Giver (la compagnia con cui -forse non l’unica- siete costretti a prenotare l’Hurtigrute dall’Italia, con prezzi più convenienti che se faceste da soli colla compagnia stessa (????) ) assegnatoci d’ufficio e nostra croce…

Il porto di Svolvær sono veramente 4 case in croce, come si vede dalle foto del nostro primo passaggio, come ti fai a perdere? Come fai a non andare dritto davanti a te per 10m fino ai pullman, ma addentrarti a destra nelle case e nella piazza del pesce? E portandoti dietro una massa di pecore belanti dall’idioma italiano?
Se proprio non sei capace perché almeno non hai seguito Greta! ?

Per fortuna in 3 al pullman ci siamo arrivati -e prima di chiunque altro in generale- dimostrando che qualcuno col cervello c’è (o almeno con un po’ di senso d’orientamento e logica minima), ma di voi che ci stavate dietro e col fiato sul collo dopo 10 minuti e 10m percorsi non si ha più traccia…

Desolatamente abbattuti e anche un po’ in@@*#§ti per il tempo che stiamo perdendo, con la guida italiana locale colle braccia prostrate lungo i fianchi, sono sceso io a recuperarti, te pastore e tutte le scampanellanti pecorelle che ti tiravi dietro, qualcuna delle quali, va detto, ti è venuta appresso per l’ultima volta per una incomprensibile fiducia.

Prima di salutare la città ammiriamo i suoi monti alpinistici e la via più famosa delle isole: il pinnacolo della barba di capra.

I più coraggiosi o sconsiderati, al termine della scalata, saltano da uno dei piccoli torrioni all’altro.

Bacini d’acqua splendenti, monti, boschi, una spiaggia presente solo colla bassa marea gremita gremita in questo rarissimo giorno di caldo solleone e cangianti insenature ci accompagnano ammirati verso uno dei cuori pulsanti di vita dell’arcipelago.

Henningsvaer, la bella Henningsvaer, ci si annuncia di lontano coi suoi stoccafissi disposti in reggimenti di muta attesa e aspettativa.

Siamo molto fortunati, tutta la città è una festa gioiosa a cielo aperto, è Codstock!!!

Musica, birra, festa e grigliate dappertutto. Gente allegra e sorridente ci guarda e si fa guardare. C’è chi balla, chi ascolta, chi mangia e si trastulla. C’è chi ammira, chi fa foto, chi sogna e chi volteggia.

Non solo baldoria però! Una delle più belle pinacoteche che vi possa capitare di vedere in Norvegia è qui e raccoglie, all’interno di un ambiente caldo e  accogliente, in un edificio caratteristico in legno nel centro cittadino, le opere principali dei grandi artisti norvegesi e non, che negli ultimi 200 anni si sono spinti fino a qui per ammirare e dipingere l’ineguagliabile luce che qui bagna montagne e case, che illumina la vita dura e alle volte disgraziata di generazioni di pescatori e delle loro famiglie.

Ogni ambiente organizzato come fosse un piccolo o grande salotto di casa, con divani, abat-jour, comode sedie; purtroppo la galleria è a divieto foto.

Se avete poco tempo saltate il pur -dicono- bel video che mette in carrellata immagini dell’isola e immergetevi negli sguardi dei pittori; concedetevi del tempo per scendere nei loro occhi e attraverso essi rivedere ciò che in parte, se avete guardato fuori dalle finestre o intorno, dovreste aver visto anche voi, scoprendo attoniti e felici che il miracolo di luce e paesaggio e uomini che avete ammirato si ripropone ogni giorno.

In città ci sono degli evidenti problemi di parcheggio se una grande roccia appena inclinata è trasformata dal proprietario della casa sovrastante in un posto auto privato munito di copertura! 🙂

Altri scorci incantati e tanti piccoli rorbuer ci guidano fino alla nostra destinazione di giornata: Stamsund. Arrivati, stanchi dalla movimentata e lunga giornata, torniamo in nave con il cuore più leggero, la memoria colma di sensazioni odori e visioni lofotiane e lo spirito ancorato, di qui in avanti, ad un nuovo porto nel mondo.

Con le nostre inseparabili nikon ci siamo preparati al primo sbarco della giornata lungamente attesa che ci porterà, passo dopo passo, a visitare gli arcipelaghi delle Vesterålen e delle Lofoten.

Già prima di partire sappiamo che il rimpianto per tutte le meraviglie che ci rimarranno nascoste non ci lascerà, sappiamo che il senso di incompiuto per quello che non riusciremo a vedere e vivere ed il senso di nostalgia per l’incredibile bellezza dei luoghi e delle persone che incontreremo produrrà in noi uno spezzato, una piccola frattura dell’io che potrà essere lenita solo tornando in questi luoghi il più spesso possibile.

Chi ci conosce lo sa (Tomba-Joele Dix insegna): su di noi le isole, le più remote, le più isolate, le più ricche di storia antichissima, scogliere, vette e persone -conoscenti – amici- hanno sempre suscitato un fascino discreto, ma potente, accompagnato da un senso di amore profondo ed un gusto di nostalgia come per una patria lontana -saudade- direbbero i portoghesi al di qua e al di là dell’Atlantico.

Siamo sbarcati sotto l’occhio vigile e attento dell’imperturbabile Greta! ufficiale di bordo e tour leader della nostra nave. Puntualissimi e a passo svelto, abbiamo conquistato la piazzola di attesa del pullman pensando di trovare il trasporto truppe già posizionato e colle sponde abbassate per farci saltare su…

L’orizzonte desolatamente vuoto rimandava verso di noi le mille nostre immagini riflesse nei vetri assolati delle case al di là del canicolare piazzale.

Sgomenta, Greta! Interroga il capo spedizione locale sul perché?! e il percome?! dell’assenza del convoglio. Basito e sudando freddo sotto l’occhio inflessibile di Greta! e nonostante i 25-mai visti qui-gradi, la buona guida barbuta, più simile a Babbo Natale incrociato col traduttore universale dell’Enterprise, tenta una strenua difesa digitando contemporaneamente numeri su numeri al cellulare e chiedendo spiegazioni.

Il mio norvegese ormai ha perso buona parte della ruggine che lo attanagliava, ma a nessuno, oltre Sara, la cosa è stata rivelata -sapere senza far sapere che si sa- e mi permette di capire che il pullman non c’è, che prima di 20 minuti -ma una cifra detta tanto per dire, se ne sono accorti tutti- sui 10 già di ritardo non arriverà nulla…

Sconforto infinito: la prima tappa a rischio è una esplorazione del principale museo vichingo dell’arcipelago! Per noi 2 sicuramente non una fermata accessoria.

Greta! propone di annullare tutto e tornare alla nave per essere rimborsati perché per lei (che tanto lì passa ogni settimana) una escursione ridotta -come dovrà essere per rispettare i tempi di rientro- non l’accetterebbe.

Nel mentre che velocemente si dibatte sul da farsi Babbo Natale-Enterprise sempre al telefono ottiene che un bus locale, probabilmente fuori orario con un autista già mentalmente in rimessa, ci prelievi e ci porti al museo dove saremo successivamente imbarcati dal nostro mezzo promesso.

Ogni ripiegamento è perso, la nave è salpata lasciandoci al nostro destino.

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Attendiamo ancora qualche attimo nella caligine infingarda, pronta ad essere taglievolmente fresca al primo muoversi d’aria.

Il pullman “cammina” mai a più di 30km/h (perché non siamo andati a piedi?) e ci superano un po’ tutti gli sparuti abitanti che incrociamo sulla nostra marcia di avvicinamento.

Sosta per ammirare il panorama e, come in ogni giardino giochi in scandinavia, piccola parete per l’arrampicata! Uau! Come perdere l’occasione?

Alla chiesa il pullman c’è, l’autista no (scopriremo che si è andato tranquillamente ad accoccolare al sole a chiacchierare colla custode del museo…).

Fortunatamente BabboNataleEnterprise sa sotto quale enorme zerbino trovare la chiave dell’antica chiesetta dell’isola e si produce in una visita guidata saltellante di varie informazioni fra le varie lingue (siamo sicuri che qualche notizia è andata persa per noi non comprendendo al volo il tedesco fra le 4 lingue usate). Da come si muovevano incoscienti gli altri italiani, non essendo il nostro idioma tra quelli fortunati, non devono aver capito nulla.

Un curioso volatile ci apre la strada per tutto il viale che ci conduce al museo.

Dopo la cultura materiale, quella umana e spirituale: i paesaggi delle Vesterålen si srotolano davanti a noi e audaci bagnanti si mostrano in tutta la loro temerarietà.

Dopo Harstad e dopo pranzo possiamo concederci una tranquilla passeggiata a Stokmarkes e, udite udite, troviamo il circo Merano!

Nonostante il sole e pur ammirando i norvegesi discinti in giro, non riusciamo a liberarci dei nostri vestimenti.

La cittadina “famosa” per ospitare il museo centrale delle Hurtigrute, non ci affascina particolarmente se non per lo sguardo che ci concede sui norvegesi di una piccola comunità alle prese con un circo che, almeno nel nome -o solo lì- si richiama ai più antichi di tradizione italiana. Probabilmente è un nome per antonomasia, come “Tivoli”. Le persone sorridono, i bimbi guardano con occhi sgranati, i più grandicelli hanno l’aria di chi dice “io sono abbastanza grande per aver già visto un circo qui” e si pavoneggiano -i maschi con mascelle compassate e occhi duri, le ragazzine con sguardi ammiccanti ai brillocchi esposti sulle bancarelle e ai ragazzi e gridolini di sorpresa, spavento-confortatemi ora? ed entusiasmo.

Come da noi, come dovunque ci sia libertà, le scene dell’adolescenza si ripetono nella loro gioiosa inconsapevole multipla prima volta.

Pubblicato da: D&D | luglio 5, 2011

Øksfjord, interludio e Tromsø “by nigth…”

Øksfjord ci mostra altri scorci di quella umanità norvegese sparsa, ma non dimenticata, su coste la cui estensione e le cui distanze tra centri umani non sono apprezzabili dalle nostre cartine e dalle nostre mappe.

Cittadine e porti di pesca disseminati su quella piccola e stretta crosta di terra precariamente poggiata sulla roccia che subito alle spalle delle foreste che lambiscono e circondano le case, si innalza in possenti, aguzze e innevate montagne.

Scendendo e visitando quando possibile queste piccole comunità, non c’è isolamento o distacco o abbandono rintracciabile nei volti degli abitanti e neanche una espressione di voluta e ricercata separazione dai consimili. In quegli occhi c’è la forza e la determinazione di un popolo che da sempre abita e ama tutto il proprio paese, dalla “calda” Oslo alle più remote e inospitali contrade del nord e dell’entroterra. Naturalmente in alcuni il desiderio di cambiare luogo di vita c’è ed esiste un piccolo flusso interno dai piccoli centri a quelli maggiori e da questi alle grandi città del centro-sud del paese, ma più che riguardare gli sperduti avamposti della costa senza fine è un problema per i piccoli insediamenti dell’interno non toccati dal turismo estivo e sciistico invernale.

Il postale su cui viaggiamo, cogli altri 10 della famiglia, svolge un ruolo imprescindibile nei rifornimenti e fondamentale nel collegare ogni comunità della costa con tutta la nazione e con il mondo. La capacità di queste imbarcazioni di navigare con ogni tempo, d’estate e d’inverno, e di garantire la presenza del resto del mondo 2 volte al giorno in decine di porti della costa o di mostrare agli altri il proprio rassicurante profilo che passa all’orizzonte, rende concreta la presenza dell’altro agli abitanti di questi mondi periferici che altrimenti correrebbero il rischio di sentirsi gli ultimi uomini sulla terra -per centinaia di chilometri in ogni direzione i centri abitati della costa nord sono circondati da pochi boschi (se non troppo a nord) e poi montagne, neve, fiordi, roccia e ghiaccio e poi tutto di nuovo e di seguito a perdita d’occhio e di enumerazione…

Noi in nave come ad Hammerfest, abbiamo preso le abitudini locali e nonostante si sia ancora oltre il circolo polare artico di pomeriggio ci gustiamo un dolcissimo gelato locale.

Superando “notti” grigie di nubi, siamo finalmente giunti con cielo limpido a Tromsø: tutte le foto che questa volta della città pubblichiamo sono state scattata tra le 23:01 e l’1:13 del mattino.

E’ già… …un luminosissssimo SOLE di MEZZANOTTE!!!

Semplicemente entrando in porto Tromsø si mostra nel suo irreale (per noi) aspetto di città oltre il circolo polare artico. Notte, piena notte, eppure dovunque sole e luce e gente che si muove per le strade come fosse -la luce è quella- tardo pomeriggio. Molti sicuramente dormiranno protetti dietro pesanti scuri, anzi no perché questi qui non sono ancora stati inventati-portati, ma dietro pesanti tende si. Tanti altri però, colpiti da quella iperattività che conquista e affligge il corpo sottoposto a cicli infiniti di luce naturale, vagano da un locale all’altro, da un mcdonald a un burgerking alla spiaggia senza posa. Altri girano in bicicletta e altri ancora portano tranquillamente a passeggio il cane.

Il sole radente bacia di soppiatto le montagne che circondano il fiordo assumendo quelle tenui e imbarazzate tonalità di un delicato rosa che sono state riprodotte nei migliori quadri dai pittori romantici e mai abbandonate dai loro successori.

Solo il porto dorme nella sua operosità sopita mentre il Sole incendia i vetri delle case.

Noi percorriamo a piedi l’alto ponte che unisce le due sponde e le due parti di Tromsø diretti al suo acme per ammirare lo spettacolo completo degli insediamenti umani, dell’acqua, dei monti e del cielo rischiarati senza posa. Spettacolo che per noi abitanti del sud dell’emisfero ha il fascino del meraviglioso, dell’inconsueto che lambisce il prodigioso, del primordiale che risveglia i legami tra il nostro io comunemente umano e ancestrale e la terra che abitiamo.

Un brivido potrebbe pervaderci al pensiero di nostrani luminosi pomeriggi invernali trasformati qui nel cuore della notte, ma non c’è spazio in quei momenti per queste riflessioni, perché altro prodigioso impulso colpisce i nostri sensi quando, dopo una giornata italianamente calda, la temperatura è precipitata in una giornata norvegianamente fredda.

E’ laborioso far capire al proprio corpo che ricorda i tepori delle ore appena passate perché con tanta luce ed un sole così forte la temperatura sia così bassa da serpeggiare in brividi all’interno dei propri vestiti; ma il Sole è lì solo a sfiorare radente la terra, a illuminarla, ma non scaldarla.

Colmi di gioia per lo spettacolo stupendo che si dipana tutto intorno a noi, non possiamo evitare di immortalarci con gli occhiali da sole a mezzanotte e 25 minuti 😉

Passata da un po’ l’una di notte, quando rientriamo in nave il Sole è ormai già alto sopra la linea dell’orizzont

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Pubblicato da: D&D | luglio 5, 2011

Tornando sui propri porti: Vardø e Hammerfest

La piccola comunità di Vardø si sviluppa a partire dalla metà del XVII secolo da un piccolo porto di pescatori (come poteva essere altrimenti?) intorno al Vardø Festning (fortezza) voluta in quegli anni dalla corona dano-norvegese a difesa delle estreme terre orientali contro svedesi e russi. Non sorprende che non sia mai stata usata nelle sue funzioni militari difensive. Durante la seconda guerra mondiale -e di questo i norvegesi vanno tanto fieri da aver insignito il capitano artefice di ciò colla massima onorificenza militare- la fortezza è uno dei luoghi simbolo in cui la bandiera del paese riuscì a sventolare più a lungo prima di cadere in mano ai tedeschi.

La piccola comunità è dispersa su di un ampio territorio concentrata solo intorno al porto per le necessità e le attività legate alla pesca. Nonostante noi si sia arrivati di giovedì a metà pomeriggio abbiamo visto in giro, nonostante il clima favorevole, pochissimi cittadini. Dato il ripetersi della cosa di comunità in comunità io e Sara abbiamo iniziato a pensare che nei furono vichinghi, si sia sviluppato un sano terrore verso gli uomini del sud che giornalmente sbarcano dal postale come quello dei monaci anglo-irlandesi dopo la distruzione di Lindisfarne.

Perché potreste domandare? Vi rispondo con una domanda: avete mai visto la metodicità con cui i turisti tedeschi visitano ogni negozio aperto trovino sul loro cammino, tentino di entrare in quelli evidentemente chiusi provandone le maniglie e si infilino in ogni cancello aperto seguiti dallo sciamare caotico e vociante da ottave basse e grevi ad acute da far accapponare la pelle (da veri invasori barbari in un mondo educato e civilizzato) dei turisti italiani, incalzati dalla spocchia e dal sorriso sbilenco e compiaciuto dei pochi turisti francesi???

Perché mai farsi trovare in giro? Meglio chiudersi dentro e lasciare in finestra di vedetta e colla speranza che dissuadano dall’invasione tanti troll…

Ad Hammerfest la grandezza del porto, della città, la presenza di stranieri residenti e, soprattutto, la nostra capacità acquisita dopo svariati tentativi e brividi e tosse, di andare in giro in manica corta qualunque temperatura e vento ci fosse purché presente il sole, ci ha reso più simili ai locali e ai norvegesi in generale (che guaio quando saremo di nuovo a Roma…) rendendo più facile l’accettazione e il contatto fra noi e loro. Il nucleo principale dell’abitato è posizionato a cornice del porto disteso a contorno di un’insenatura bella e riparata all’interno di una più ampia baia-fiordo (in lontananza le immancabili montagne cinte di neve). Tutta la città è abbracciata da un piccolo altopiano -quello che abbiamo scalato noi in un tempo record- cinto a poca distanza da montagne che, se anche non molto alte, a questa latitudine sono coperte di neve per gran parte dell’anno. Come per tanti altri piccoli centri incassati allo sbocco di strette vallate o adagiati nei pressi di qualche ripido colle o monte, il pericolo non è tanto quello di slavine o valanghe, ma il vento che qui può raggiungere velocità degne di Trieste e superiori che, combinato in inverno colla neve, potrebbe provocare danni alle strutture, ai mezzi e ai cittadini in giro (sulle Lofoten c’è stato raccontato da fonte attendibile che durante una tempesta artica il vento è riuscito a far fare un quasi 360° ad un pullman colle gomme chiodate, su di una superficie appena innevata – ah, dimenticavo: da fermo!!!).

Così tutte le città o paesetti sono circondati, ove necessario, da bastioni di grossi tronchi di frangi vento-spezza neve.

Hammerfest ha anche una bella chiesa, molto colorata internamente per essere un luogo di culto protestante, dalla curiosa forma triangolare e qualche statua bronzea interessante disseminata per le viuzze.

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Pubblicato da: D&D | giugno 24, 2011

Kirkenes e la scoperta di un mondo

La città, nonostante la lontananza da tutto, la dispersione sul territorio e l’esiguità numerica dei suoi abitanti è evidentemente molto attiva culturalmente (è molto difficile trovare in scandinavia una comunità, per quanto piccola sia che non lo sia) essendo dotata di una grande biblioteca, una bella chiesuola di legno e di un grande museo tripartito, o meglio: 3 musei ospitati nella stessa struttura.

Per chi avesse avuto il tempo di girovagare per la città, la mia guida segnalava uno dei 3 di cui sopra: l’esposizione permanente di un artista locale di inizio ‘900: John Savio.

Influenzato da Van Gogh e Munch (la biografia lo rendeva così disgraziatamente simile alle più grandi sofferenze dei due artisti) la forza delle sue opere ci ha colpiti, avvolti e conquistati. L’intensità e lo struggimento di una brevissima vita -36 anni- di lutti e malattia, dedicata all’arte traspare da ogni pennellata, da ogni incisione.

Qui c’è qualche info in più

http://en.wikipedia.org/wiki/John_Savio

Noi abbiamo preso quello che abbiamo trovato di catalogo opere e critica in inglese (per chi, come noi, volesse approfondire).

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Pubblicato da: D&D | giugno 24, 2011

Kirkenes e la fine del mondo

Sbarcare a Kirkenes è arrivare al porto estremo del nostro viaggio.

Sbarcare a Kirkenes è trovarsi faccia a faccia con una dura città di confine sommersa più di qualunque altra città da un cielo di piombo e bombe scaricate da tutti: tedeschi, alleati, russi (parte della popolazione, più di 6000 persone, vissero per i lunghi mesi dell’avanzata sovietica di liberazione, rintanati nelle antichissime miniere esaurite fuori città nella taiga -tanti bombardamenti erano dovuti alla posizione strategica e alle tante altre miniere metallifere ancora in attività-.

Sbarcare a Kirkenes è vivere per qualche ora un mondo -occidentale- che guata, commercia e parla con sospetto coll’antico liberatore oggi equivoco, saltuario alleato.

E’ anche trovarsi scherzosamente sconfortati per la lontananza di casa…

 E’ anche incontrare un grande, profondo, intenso e sconosciuto grande artista! Al prossimo post!

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Pubblicato da: D&D | giugno 24, 2011

Oh issà: in salita sempre più a NNNNord

In una successione che purtroppo infinita non è, una carrellata dei porti, minuscoli fiordi, miniminuscoli centri abitati (?) e gli infinitesimalipiccoli-ma-dove-sono? Luoghi che abbiamo visto, visitato o a cui abbiamo attraccato andando verso nord…

In prima posizione Skjervøy: non molto di più di una manciata di uomini e case lasciate cadere sulla fredda costa norvegese.

La sopravvivenza è legata, come anche per molti degli altri centri, piccoli e grandi, all’allevamento del salmone e alla pesca del merluzzo.

Se scrostate la piccola superficie di terra verde costiera troverete roccia e ancora roccia gelata come i monti che incombono poco al di là ammantati di nubi.

Segue Havøysund che è quello che vedete: un porto di scarico per prefabbricati e di carico (anche per la nostra nave) di stoccafissi surgelati.

Eccoci d’un salto (di svariate centinaia di chiometri e miglia marine) a Honningsvåg, sull’isola di Magerøya-Capo Nord.

Quante spedizioni polari sono partite da quest’isola? Quanti uomini non vi hanno più fatto ritorno?

Ormai a questa latitudine la bussa magnetica inizia a non segnare più il “vero” nord geografico, ma quello magnetico: le coste settentrionali del Canada.

Quanti uomini sono stati qui credendo di raggiungere la punta più a nord dell’Europa e se ne sono andati tronfi per questo non sapendo che in realtà la parte più settentrionale del continente europeo è il promontorio a fianco a est? Capo Nord è un’invenzione turistica, col suo fascino dal quale farsi prendere, ma sapendo almeno come sono realmente le cose.

Muovendosi comodamente in pullman verso il centro accoglienzamuseomonumento colla sua sfera di acciaio e pietra, guardando fuori dal finestrino le poi le renne e la capanna che visitiamo, non mi è possibile non riflettere come forte e determinata possa essere stata la volontà (ma era di sopravvivenza!) di quegli uomini che qui abitarono per primi non meno di 4000 anni fa, dotati di quegli strumenti di pietra e corno che avevamo visto ben documentati nel museo di Oslo e che poi avremmo visto anche a Göteborg e Copenhagen…

La fittissima nebbia che abbiamo trovato (le foto sono il risultato di lunghi appostamenti in attesa del buco tra i vari blocchi compatti di acqua danzante), a detta delle guide, fa considerare la giornata comunque buona!

Di qui Ottar, primo a documentare costa e popolazioni nel racconto fatto ad Alfredo il Grande di Northumbria o Mercia (scusate la dimenticanza), passò più di 1100 anni fa, colle sue 3 navi, per arrivare là dove nessun uomo era mai giunto prima.

Sempre nella stessa giornata di Capo Nord abbiamo attraccato per alcuni minuti anche a Kjøllefjord.

Il gruppo di uomini che hanno deciso di risiedere lì abita in quello che vedete nelle foto, vivendo della produzione e commercializzazione dei pesci di cui prima (e sopra). Il fiordo ha un ingresso eccezionalmente bello protetto da alcune formazioni naturali molto simili, da lontano e da vicino, a bastioni di difesa e sbarramento, di qualche ormai diruto castello d’un tempo (nella 4 foto del gruppo sulla sinistra).

L’ultimsa foto è la cena di Sara. Io purtroppo non stavo benissimo, non per il mal di mare, come i maligni diranno, ma perché nell’ora e poco più passata fuori a prua a fare foto, godermi il paesaggio e bere vento come un assetato dopo un deserto, la mia temperatura corporea, come ho scoperto successivamente, era crollata a 35,1 (normalmente 36,4) e tornava appena a 36 prima di andare a nanna.

Comunque Sara la mangiata se l’è goduta…


Prima che ci si parino finalmente davanti le tanto agognate isole Lofoten uno sguardo alle proporzioni del nostro antipasto a base di pesce, se tanto spesso avremmo avuto da ridire sulla qualità dei prodotti servitici a cena (ma ci sarà un post ad hoc) quella sera -come poi in seguito- ci colpì l’esiguità; le mie mani in bella mostra servono solo per dare un’idea delle proporzioni…

Stamsund, primo porto a mostrarsi delle Lofoten si para innanzi a noi col suo piccolo porto e le ingenti distese di stoccafisso ad essiccare, corpi teste, tutto quanto, protetti dai gabbiani da reti. E’ da queste isole che arriva tutto lo stoccafisso importato in Italia e buona parte del baccalà. Cittadina abbastanza vivace, porto gradevole disseminato di qualche casetta di legno, bella vista sulle aguzze montagne circostanti.

Molto avevamo visto già dall’interno della nave prima di sbarcare, ma arrivati a terra ci ha colto nel pieno un’altra fondamentale caratteristica di Stamsund almeno in questo periodo: il flatulente e imperante odore di… …stoccafisso naturalmente. Essiccando diffonde per la città un forte odore che certo non si può definire buono, molto simile, ma più pungente a quello del cibo per i pesci da acquario…

Per raggiungere le Vesterålen, l’arcipelago successivo andando verso nord, la nave, dal nome omonimo alle isole deve imboccare e percorrere uno stretto fiordo o canale fra l’ultima isola dal gruppo più a sud e la prima dell’arcipelago a nord. Il passaggio è molto stretto tanto che la nostra nave ha proceduto per un buon tratto per inerzia, con il motore principale spento e solo la propulsione di manovra. Le foto riguardano il punto più stretto.

La mattina successiva, finalmente, grazie al mio kit personale composto da piastra, tazzina, cucchiaino, caffè e caffettiera, sono riuscito a prepararmi il primo dei rari caffè di nave!

Dopo pranzo siamo sbarcati e abbiamo visitato Tromsø (i pezzi di domino caduti in realtà sono la struttura di un museo sulle spedizioni polari, ma molto kitsch e non con materiali originali ma filmati in 3D e altra paccottiglia per turistas).

La cartina che trovate in foto (custodita nell’antico e autentico e piccolino museo delle spedizioni polari -molti capi spedizione erano nativi della città) è del 1596 ed è la prima in cui è segnato il profilo di una parte delle isole Svalbard da poco scoperte, poi giochi dei cacciatori e minatori e un impronta di iguanodonte rinvenuta là recentemente.

Segue la suggestiva cattedrale polare, dall’altro lato del fiordo.

 

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Pubblicato da: D&D | giugno 14, 2011

Trondheim e lo Svartisen-meraviglia dopo meraviglia

La nostra nave domenica 5 ci lascia in una meravigliosa città fantasma: Trondheim! E’ domenica mattina, sono le 9 e una manciata di minuti e, come in qualunque gruppo umano norvegese sparso per l’universo in un giorno di festa col sole, in giro non c’è nessssssuno! Continuerà così per quasi tutta la nostra permanenza. Sono tutti già fuori città, in barca verso luoghi dove l’uomo non norvegese non è mai giunto prima o in montagna verso luoghi dove è giunto solo il famoso Homo Norwegenisi, rigorosamente in magliettina o a petto nudo a bruciarsi e arrossire come fossero a Caltanissetta il 15 agosto (oppure sono a letto e si alzeranno diosolosaquando).

La città, antica capitale, sede arcivescovile, nei secoli ricca di commercio e ora di turismo offre uno dei più belli esempi di architettura ecclesiastica oggi visitabile in Norvegia: la Cattedrale.

Rientrati in nave velocemente per pranzo e ripresa la navigazione verso le 13 siamo passati su di un veloce aliscafo che ci ha condotto a velocità incredibile su acqua più simile a cristallo liquido che ad altro, sotto un sole la cui immagine sorgeva ad ogni nuova onda dai riflessi acquatici delle montagne che ci sfrecciavano ai lati.

Approdati al fondo di una minuscola diramazione di un piccolo fiordo, di buon passo abbiamo raggiunto il ramo più basso del secondo ghiacciaio più grande della Norvegia.

Ogni commento sarebbe riduttivo.

Ai miei amici della montagna dico: ho preso i contatti per dormire nei cottege nei pressi del lago e già comprato le cartine più dettagliate che coprono tutta l’area del ghiacciaio.

Grazie alla bellezza della giornata l’equipaggio dell’aliscafo ci ha concesso qualche diversivo come attirare al seguito dell’imbarcazione, per mezzo del lancio di pane e piccoli pesci, un nutrito gruppo di gabbiani, le cui strida hanno attirato tre aquile dalla coda bianca o aquile di mare (non sappiamo se siano la stessa cosa o no) che abbiamo convinto a mostrarsi col lancio di 3 grandi merluzzi. Appostato, sono riuscito a scattare qualche bella foto in primo piano che però su queste pagine in bassa definizione non so quanto renderanno.

Nella foto di gruppo potete vedere il piccolo Nikon Club che si era creato tra noi passeggeri, tutti con gran belle macchine fotografiche, e grazie Norbert per avermi prestato il 70-300!

Di ritorno abbiamo visitato isolati villaggi di pescatori, isole misteriose con incredibili onde di sabbia fuoriuscenti dal ventre della montagna e con gli occhi mai sazi di tante bellezze siamo rimbarcati a Bodø.

Sulla nave felici e contenti -e colla pancia piena come avrete visto dalle foto- abbiamo pensato di poter schiacciare un degno pisolino nella nostra angusta cabina … mai speranza più vana.

Abituatici da veri duri al rollio della barca in poche ore, non ci saremmo mai aspettati gli sballottamenti notturni. Come abbiamo indagato durante il giorno successivo tra le 5 e le 6 nessuno ha chiuso occhio perché… …non si sapeva dove fosse il sotto e il sopra, la destra e la sinistra (nel corridoio si sentivano cose volare e porte sbattere) così aggrappati ai letti nel silenzio notturno rotto dai mille cigolii del fasciame e del metallo (magari uno prima di salire in barca si aspetta anche che le parti in legno scricchiolino, ma quanti si aspettano che le strutture in metallo gemano e cerchino di divincolarsi dai bulloni?) abbiamo incrociato le dita, innalzato un’invocazione e tenuto duro… alle 6 tutti stremati, siamo caduti in un breve sonno poco ristoratore.

 

La giornata però si prospettava magnifica nonostante i postumi della nottata impressi sulle nostre facce. Avevamo in programma di abbandonare la nave per un po’ e andare a esplorare e visitare il Geirangerfjord (località inserita tra i siti patrimoni dell’umanità dell’UNESCO per la particolarità e l’unicità dell’ambiente e delle bellezze naturali in esso contenute.

Con lentezza la nostra imbarcazione si è addentrata nel fiordo tra le sue centinaia di cascate, piccoli rivoli strapiombanti e immense cataratte aperte nel cuore della montagna verso il cielo e il mare intorno a noi.

In fondo al fiordo la cittadina di Geiranger (pronuncia sempre con la “G” dura) ci accoglieva velocemente per condurci, a mezzo pullman, su su per la Strada delle Aquile: 11 tornanti molto stretti per portarci in cima agli 800 metri delle montagne che circondano l’acqua ormai sempre più sotto di noi fino ad un punto panoramico. Se ci stavamo impressionando per questa viuzza da capre in cui le macchine si fermavano in curva (unico tratto “largo” della via) vedendo arrivare il bus per farlo passare e non essere sbalzate fuori, ignoravamo la profondità del baratro dal quale saremmo scesi a fine giornata…

Per via c’è chi si interessa evidentemente al paesaggio non trovando di meglio per goderselo che pisolare, pronto però, a fine giornata, a raccontare agli altri passeggeri rimasti in nave le sue mirabolanti imprese.

Poi abbiamo superato foreste e altri fiordi per mezzo di battelli (Sara ha immortalato una giovane banda musicale che con le sue prove ha allietato una delle traversate). Poi altre foreste e imponenti cascate fino ad arrivare in un alto altopiano disseminato di vette aguzze e macchie leopardine di neve… brrr che freddo!

Infine siamo giunti alla Strada dei Troll – la Trollstigen.

La via, che potete vedere dall’alto in alcune foto scattate da dentro il bus, si compone di undici spericolati tornanti col guard rail abbastanza basso da permettere ai pullman di curvare facendo sporgere nel vuoto parte del muso!

Anche qui le malaugurate macchine che si incontrano si fanno indietro o si impalano nelle curve per dare ai bus lo spazio di manovra.

Come se non bastasse la via attraversa una grande cascata con un salto di 320 metri e ne fiancheggia varie altre.

Giunti alla fine non resta che fermarsi e fare una foto a quello da cui si è sfuggiti.

Sulla nave felici e contenti -e colla pancia piena come avrete visto dalle foto- abbiamo pensato di poter schiacciare un degno pisolino nella nostra angusta cabina … mai speranza più vana.

Abituatici da veri duri al rollio della barca in poche ore, non ci saremmo mai aspettati gli sballottamenti notturni. Come abbiamo indagato durante il giorno successivo tra le 5 e le 6 nessuno ha chiuso occhio perché… …non si sapeva dove fosse il sotto e il sopra, la destra e la sinistra (nel corridoio si sentivano cose volare e porte sbattere) così aggrappati ai letti nel silenzio notturno rotto dai mille cigolii del fasciame e del metallo (magari uno prima di salire in barca si aspetta anche che le parti in legno scricchiolino, ma quanti si aspettano che le strutture in metallo gemano e cerchino di divincolarsi dai bulloni?) abbiamo incrociato le dita, innalzato un’invocazione e tenuto duro… alle 6 tutti stremati, siamo caduti in un breve sonno poco ristoratore.

Valli coltivate, fattorie e Molde riportano alla quiete lo sguardo sbarrato del viaggiatore, poi di nuovo in mare.

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